Divina Commedia o Comedìa?
Nell’Inferno (canto XVI v. 128) Dante si riferisce alla sua opera definendola “comedìa”, cioè Commedia; mentre noi moderni aggiungiamo a questo sostantivo l’aggettivo “divina”. Come mai esiste questa doppia denominazione dell’opera?
Il termine “divina” venne dato posteriormente rispetto alla composizione dell’opera, a tal punto che lo stesso Alighieri non conobbe mai tale appellativo per il suo testo: difatti la prima apparizione dell’aggettivo “divina” si ebbe nel 1555 in un’edizione dell’opera stampata a Venezia dal tipografo Gabriele Giolito e curata dal poeta Ludovico Dolce (precedentemente a Dolce fu Giovanni Boccaccio, in quanto primo allievo e fedele del poeta fiorentino, a usare l’aggettivo “divino” riferendosi però alle opere dantesche in generale).
Si possono dare due interpretazioni riguardo all’uso di tale aggettivo da parte del poeta Dolce: la prima spiegazione si può riferire al giudizio positivo che si dava dell’opera, per esaltarne l’eccellenza e la perfezione; la seconda interpretazione può riferirsi a un’indicazione a livello di contenuto del componimento, poiché nell’opera sono trattati argomenti dell’aldilà, perciò di un mondo divino-ultraterreno.
Per essere fedeli al volere dell’Alighieri, che propone il titolo “Comedìa” per qualificare la scelta dell’argomento dell’opera ( si narra di un viaggio ostile e arduo, che poi si concluderà positivamente) si dovrebbe nominare la sua opera solo con il sostantivo “Comedìa”, termine che egli ripete anche nell’Epistola a Cangrande ( XIII, 28-31) in cui si legge:
Il titolo del libro è “Incomincia la “Comedìa” di Dante Alighieri fiorentino di nascita, non di costumi.
9 ottobre 2013
I canti
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Il saggio sui canti della Divina Commedia: