Canto VII della Divina Commedia, a cura di Martina Michelangeli
Il canto VII si apre con le imprecazioni del demone custode del nuovo cerchio in cui si trovano i due poeti: si tratta del demone Pluto. Dante prova paura e Virgilio lo rassicura che per quanto potere abbia il demone non può impedire il loro cammino, poiché è stato voluto e stabilito dal cielo dove l’arcangelo Michele fece vendetta della superba ribellione degli angeli ribelli; Pluto dopo quelle parole cade a terra.
Dante insieme alla sua guida scende nel quarto cerchio, continuando a percorrere la discesa infernale che raccoglie il male dell’intero universo.
Dante in quel luogo vede molte più anime finora viste e, da una parte all’altra del cerchio, in mezzo a grandi urla, queste ombre spingono dei pesi con la forza del petto, si scontrano in un punto e si dicono: “perché ammucchi?” e “perché disperdi?”. Girano in questo modo lungo quel cerchio dalle due parti verso il punto opposto, continuando a gridare questo ritornello, e quando si arriva al punto di incontro le anime tornano indietro per un successivo scontro.
Dante chiede alla sua guida chi sono questi dannati e Virgilio risponde che una parte di questi furono tutti ciechi di mente nella vita terrena che non spesero mai le ricchezze con misura, e in modo chiaro lo urlano quando arrivano ai due punti del cerchio dove sono separati da coloro che fecero il peccato inverso: questi furono ecclesiastici, compresi papi e cardinali, sui quali l’avarizia esercitò il suo eccesso.
Dante vorrebbe riconoscere questi dannati, ma Virgilio gli rivela che il loro peccato li rende oscuri al riconoscimento e li ha fatti condannare qui lontano dal Paradiso, spiegando come il lottare degli uomini per i beni terreni della fortuna porti solo dolore all’uomo. Virgilio spiega a Dante che Dio ha creato i cieli e ha loro assegnato delle guide per trasmettere in ugual misura la luce divina; nello stesso modo ai beni terreni Dio ha dato una guida e una amministratrice, la Fortuna, che al momento opportuno faccia passare le ricchezze da un popolo all’altro e da una stirpe all’altra, vincendo ogni resistenza degli uomini: lei dispone, giudica e persegue il suo compito, come le intelligenze angeliche perseguono il loro. I suoi mutamenti sono veloci e per questo spesso gli uomini cambiano velocemente condizione, ma non ascolta le imprecazioni degli uomini, anche di coloro che dovrebbero lodarla.
Dopo questo discorso i due poeti scendono verso un luogo di maggior dolore, attraversando il cerchio fino al margine opposto, presso una sorgente che ribolle e alimenta un canale che qui ha origine. L’acqua scura del ruscello sfocia nella palude che viene chiamata Stige, dopo essere disceso da tetri e cupi dirupi. Dante lungo questo percorso vede anime coperte di fango e nude col volto arrabbiato, si battono con le mani la testa e il petto con i pugni, dilaniandosi con i denti a morsi. Virgilio rivela che queste sono le anime degli iracondi e immersi nell’acqua cupa ci sono anime che sospirano la fanno gorgogliare in superficie e nella melma dicono: “Fummo tristi sulla dolce terra rallegrata dal sole, portando dentro un fumo accidioso: ora siamo tristi in questa melma oscura”.
I due poeti girano intorno a quella palude, tra la riva asciutta e la melma, con gli occhi rivolti verso quelle anime che ingoiano il fango, giungendo alla fine ai piedi di una torre.
2 dicembre 2013
I canti
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II canto inferno
Canto III inferno
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